Ucraina. L’Europa innbalia del bullo americano. Le opposizioni in piazza con le bandiere blu

di Stefano Amoroso

Trump somiglia sempre di più a quei compagni di giochi, che tutti hanno conosciuto da ragazzi, che, quando non vincono, s’infuriano, interrompono il gioco e vanno via portandosi il pallone. Donald Trump, giova ricordarlo, aveva già interrotto una volta gli aiuti militari ed economici all’Ucraina: nel 2019 l’ex palazzinaro di New York voleva che Zelensky mettesse sotto accusa per corruzione Joe Biden ed il figlio Hunter, membro del consiglio di amministrazione di una compagnia elettrica di un oligarca ucraino. Siccome Zelensky si rifiutava di farlo, Trump interruppe gli aiuti al suo Paese, quando già erano fallite le trattative con la Russia ed un’invasione di Putin era imminente. Questo per sfatare il mito di Trump come “uomo di pace”, sotto la cui presidenza non sarebbero iniziate nuove guerre. L’invasione russa, come sappiamo oggi, era già programmata per il febbraio del 2020, e fu rinviata solo a causa del Covid e dell’impossibilità, da parte cinese, di sostenere economicamente lo sforzo bellico. Averla rinviata di due anni è stato il più grave errore strategico di Putin e, probabilmente, l’evento che ha salvato Kiev dalla capitolazione. Finora, almeno. Perché, adesso, Trump torna all’assalto e, dopo aver teso una trappola al Presidente ucraino nello Studio Ovale, taglia definitivamente gli aiuti militari all’Ucraina. A Zelensky, ora, restano solo gli aiuti degli altri alleati per evitare la capitolazione. Se continuerà il sostegno di Canada, Giappone, Australia e dell’Europa, allora Kiev potrebbe resistere per lungo tempo, forse anche per il tempo necessario ai Democratici per riorganizzarsi e sconfiggere Trump alle prossime elezioni per il Congresso nel 2026 e, nella migliore delle ipotesi, per far sì che la situazione socio-economica russa precipiti a tal punto da rendere impossibile, per il regime di Putin, continuare questa guerra di aggressione che gli è già costata perdite per cento mila uomini, tra morti e feriti. Perché funzioni questo piano, tuttavia, è necessario che l’Europa prenda in mano le redini della resistenza a Putin e risponda, colpo su colpo, alle bordate di Trump. I vertici di Parigi e di Londra, in tal senso, fanno ben sperare: se si metterà in moto l’asse anglo – francese, che sono le uniche due potenze nucleari occidentali oltre gli Stati Uniti, ed il nuovo governo tedesco mostrerà un’assertività ben maggiore del suo predecessore, allora si potrebbe mettere in piedi una coalizione dei volenterosi che possa fare a meno, in parte, degli Stati Uniti, che li isoli nella loro arroganza e costringa la Russia a più miti consigli. Per ora siamo solo ai, pur incoraggianti, titoli e promesse. La Von der Leyen, dopo tre anni di colpevole ritardo, ha finalmente annunciato, lo scorso 4 marzo, un piano da ottocento miliardi per il riarmo dell’Europa. L’industria militare europea, dopo anni, è finalmente in grado di produrre proiettili d’artiglieria in numero superiore a quelli realizzati dagli statunitensi. Tuttavia il ritardo nella produzione di carri armati, aviazione e sistemi di difesa anti aerea, è pesante. Senza considerare la copertura satellitare: senza l’appoggio di Starlink di Musk, stretto collaboratore di Trump, l’unica alternativa per l’esercito ucraino per non restare cieco si chiama OneWeb, società britannica che ha recentemente incorporato la francese Eutelsat e dispone di una costellazione di 650 satelliti in orbita terrestre bassa (LEO), rendendola già oggi la seconda più grande al mondo dopo Starlink. Anche in questo campo, l’Europa si è mossa con grave e colpevole ritardo, e la rete Iris2 sarà pronta non prima del 2030. In confronto con l’attivismo di gran parte degli alleati europei, il silenzio e l’imbarazzo del Governo Meloni appaiono evidenti. Partito con l’idea di fare da ponte nelle tensioni tra alleati, non aveva messo in conto, da un lato, l’arroganza e l’indisponibilità al dialogo della nuova presidenza statunitense e, dall’altro, la determinazione degli anglo-francesi. Attorno a cui, come dicevamo all’inizio, si sta coagulando un consenso molto importante sia tra i governi in carica, sia nell’opinione pubblica. Anche quella italiana, raccogliendo la proposta del giornalista Michele Serra, si riunirà in piazza il prossimo 15 marzo. I socialisti saranno in piazza perché, ha detto il segretario del Psi Maraio, “in questo momento storico è necessario dare un segnale, con una grande iniziativa percepita, libera, costruttiva”. In nome dell’orgoglio e dell’unità europea, e di un progetto europeo che certamente non è perfetto e spesso, troppo spesso, burocratico, farraginoso ed inconcludente. Ma è pur sempre l’unica Europa che abbiamo, per cui o ci decidiamo, noi cittadini europei, a costruirla una buona volta, oppure nessuno lo farà per noi.

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