di Marika Forense
In Italia sono 2.718 le donne che stanno scontando una pena detentiva all’interno di un istituto penitenziario; sono presenti, nel nostro Paese, quattro carceri esclusivamente femminili: Pozzuoli, Roma Rebibbia, Trani e Venezia Giudecca; in aggiunta vi sono oltre quaranta sezioni femminili ospitate in istituti misti. Il carcere diventa un incubo per le donne perché, nella maggior parte dei casi le donne che stanno scontando una pena detentiva all’interno di un istituto, hanno al loro fianco i figli; la problematica delle detenute madri in carcere è ormai una questione all’ordine del giorno, e lo è ancora di più adesso, visto che, il nuovo articolo 15 del “D.D.L. Sicurezza”, sancisce, che: “Non potranno più beneficiare del rinvio obbligatorio della pena tutte quelle detenute madri e soprattutto le detenute incinte, bensì tale rinvio sarà facoltativo”>. Un atto di inciviltà posto in essere da questo governo; difatti, originariamente, il nostro Codice penale, all’articolo 146, disponeva il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena, più precisamente sanciva che “l’esecuzione di una pena, che non sia pecuniaria, è differita, se deve aver luogo nei confronti di donna incinta, se deve aver luogo nei confronti di madre di infante di età inferiore ad anni uno (…)”. Non vi è stato nessun intervento sugli Istituti a custodia cautelare attenuata per le detenute madri; è bene ricordare, che gli ICAM (Istituto a Custodia Attenuata per detenute Madri) hanno delle caratteristiche strutturali nettamente differenti rispetto ai “normali” istituti di pena, nonostante siano delle vere e proprie strutture detentive. La principale differenza sta nel fatto che operano all’interno della struttura gli agenti della polizia penitenziaria senza divisa, non esistono sbarre, gli ambienti sono ampi e curati, sono generalmente garantite attività all’esterno per i bambini e vi è grande attenzione da parte degli operatori al supporto delle relazioni madre-figlio. Sul territorio nazionale, risultano in totale sessanta posti disponibili all’interno degli ICAM. Sulla carta, le strutture presenti sono cinque, ma l’istituto di Cagliari Uta, non risulta però mai entrato in funzione, soprattutto a causa del calo nel territorio sardo di madri detenute con bambini a seguito. È evidente una distribuzione disomogenea degli ICAM su tutto il territorio nazionale, ed è bene sottolineare che nel rispetto del benessere superiore dei bambini, non vi possono più essere delle sezioni fatte alla bene meglio all’interno degli istituti di pena “normali”. I bambini hanno il diritto di vivere la loro infanzia lontano dall’ambiente carcerario. I numeri che determinano una condizione del tutto inadeguata per le donne all’interno di una cella, sono rappresentati da diverse mancanze; in seno all’ultimo rapporto dell’Associazione Antigone, si è evidenziato che, nel 17,4 per cento degli istituti visitati non è garantito il servizio di ginecologia, nel 30,4 per cento non è garantito il servizio di ostetricia e nel 30 per cento delle celle delle sezioni femminili non è presente un bidet, nonostante sia previsto dal Regolamento penitenziario già dal 2000 e, non da ultimo per importanza, non ovunque è presente il servizio di pediatria, situazioni indegne per il nostro Paese. Oggi più che mai è doveroso ricordare che, non può essere una cella a negare il diritto di vivere dignitosamente e non può essere una cella a negare i nostri diritti fondamentali.