di Lorenzo Cinquepalmi
Nel 1939 due nemici naturali, come Hitler e Stalin, si spartirono la Polonia. Oggi due avversari naturali, come Trump e Putin, hanno concordato di rinviare il confronto tra i loro due paesi e, soprattutto, tra i due blocchi di interessi reciprocamente rappresentati, perché la debolezza dell’Europa costituisce per entrambi un’occasione troppo ghiotta. Sul fatto che, nel medio termine, l’America di Trump e la Russia di Putin siano destinati a scontrarsi, è difficile avere dubbi. Non solo gli interessi e le aspettative delle rispettive oligarchie sono fatalmente confliggenti, ma la stessa visione di entrambi i leader rispetto ai rapporti tra soggetti, siano essi persone, organizzazioni o Stati, induce a una simile lettura. Entrambi concepiscono le relazioni come rapporti di forza, e solo nella forza vedono lo strumento per stabilire un equilibrio tra volontà contrapposte. Sull’Europa, però, come s’è detto, l’interesse è naturalmente comune e di natura spartitoria. Proprio perché entrambi giudicano la forza come unico metro delle relazioni internazionali, l’attuale debolezza politica e militare europea fa percepire a entrambi il nostro continente come terra di conquista. Su questo le prime dichiarazioni del prossimo cancelliere tedesco Merz, per tutta la vita un filo americano e filo atlantico di ferro, sono di un’impressionante lucidità, proprio perché provenienti da un politico di pluridecennale esperienza e completamente estraneo a qualsiasi matrice antiamericana. Le sue parole “USA e Russia si stanno accordando sulla testa dell’Ucraina e, dunque, sulla testa dell’Europa” fotografano le prove generali del nostro destino, in mancanza di un deciso salto di qualità nel processo di integrazione europea che trasformi la consistente ma sfilacciata potenza economica europea in una potenza politica. È, in fondo, lo stesso contenuto del messaggio che Draghi ha affidato al parlamento europeo solo pochi giorni fa: occorre avere una visione comune e realizzarla, superando particolarismi di Stati nazionali piccoli e grandi, interessi di gruppi economici e di potere. Fare qualcosa, ed è difficile credere che dica tutta la verità Draghi quando esorta i leader europei a fare qualcosa ma afferma di non sapere cosa. La vera novità in questa sfida per la difesa del modello sociale ed economico europeo, così lontano sia da quello americano che, ça va sans dire, da quello russo, è la comparsa sulla scena di Friedrich Merz: ha arginato la valanga neonazista di AFD che sembrava inarrestabile; ha proclamato una scelta netta e immediata di grosse koalition con i socialdemocratici; ha delineato i termini della sfida europea sul terreno della difesa comune, della politica estera comune, della politica economica e commerciale comune. Non dobbiamo andare lontano per trovare chi, fuori d’Europa, tifava e sosteneva i neonazisti di AFD: sono Putin e i suoi (che finanziano e sostengono stabilmente tutte le destre antieuropee negli stati dell’Unione; ricordate la Lega e Savoini?), e sono Trump e i suoi, con Musk passato disinvoltamente in un paio d’anni da sostenitore dei democratici americani a gran patron dell’internazionale nera. In questo, c’è da chiedersi che ne sarà dell’Italia, il paese di De Gasperi che, con il tedesco Adenauer e il francese Schuman, fu padre dell’Europa unita. Meloni pare impegnata in un difficile equilibrismo tra le diverse forze contrapposte che, nella sua maggioranza, suscitano consensi assai diversi. Se da un lato Salvini, in modo ormai picaresco, non sa più come e dove ribadire il suo trasporto verso Trump e verso Putin, e se la pancia del partito della presidente del consiglio, Fratelli d’Italia, esulta vedendo Musk e Bannon col braccio teso, l’indispensabile area moderata e liberale della maggioranza è sicuramente più vicina alla posizione di Merz. Lo dice apertamente Tajani, segretario politico di Forza Italia, vicepresidente del consiglio e ministro degli esteri, ma, soprattutto, si legge nitidamente nelle parole che Marina Berlusconi ha affidato a una lunga intervista proprio a ridosso delle decisive elezioni tedesche. Il segmento sociale che può riconoscersi nella visione della società descritta dall’erede di Silvio non potrà che scegliere il modello Merz, che è incompatibile con il modello Meloni. Nè Meloni può accarezzare l’illusione di intestarsi un simile ruolo, perchè perderebbe una parte importante dei suoi. Il tempo, però, comincia a mancare e la stagione è cambiata radicalmente; un cambiamento che, fatalmente, non poteva che venire dalla Germania, negli ultimi due secoli il cuore economico, ma anche culturale e politico, del nostro continente; non è un caso se De Gasperi, Adenauer e Schuman erano anche di lingua e cultura tedesca. Il qualcosa invocato da Draghi in Europa accadrà e l’Italia, con o senza Meloni, ne farà parte.