Le incognite per l’Europa tra NATO, Ucraina e rapporti con Mosca

di Rocco Romeo

L’elezione di Donald Trump e J.D. Vance ha segnato una svolta nella politica estera statunitense, in particolare sul dossier Ucraina-Russia. La loro campagna, sostenuta dalla maggioranza degli elettori americani attraverso un voto libero e democratico, ha chiarito la volontà di rivedere l’attuale strategia di confronto con Mosca. L’accusa di Washington nei confronti del Cremlino è nota, ma la questione si trascina da decenni e affonda le radici in una promessa che, secondo Mosca, non è stata mantenuta: la non espansione della NATO a est. Dopo il crollo dell’Urss, diversi leader occidentali – secondo alcuni documenti e dichiarazioni emersi nel tempo – avrebbero assicurato a Mosca che l’Alleanza Atlantica non avrebbe inglobato i Paesi dell’ex blocco sovietico. Tuttavia, negli anni successivi, la Nato ha progressivamente accolto numerose nazioni dell’Europa orientale, fino ad arrivare alle porte della Russia. Dal punto di vista del Cremlino, questo processo ha rappresentato una minaccia diretta alla propria sicurezza. Le richieste di Mosca di un nuovo accordo di sicurezza con l’Occidente, incluse quelle presentate all’Onu, sono rimaste inascoltate. Il punto di rottura si è verificato con il cambio di governo in Ucraina nel 2014, evento che la Russia ha definito un colpo di stato sostenuto dall’Occidente. Le proteste di Euromaidan portarono alla fuga del presidente Viktor Yanukovich, eletto democraticamente, e all’insediamento di un nuovo governo filo-occidentale.  Per Mosca, si trattò di un’operazione orchestrata da Washington e Bruxelles per spostare definitivamente l’Ucraina nella sfera d’influenza occidentale. A seguito di questi eventi, le regioni russofone dell’est Ucraina insorsero, accusando Kiev di discriminazione e repressione. La Crimea venne annessa dalla Russia dopo un referendum contestato a livello internazionale, mentre nel Donbass scoppiò un conflitto che, fino all’invasione russa del 2022, era rimasto in uno stato di guerra a bassa intensità. Secondo il Cremlino, negli anni successivi si sarebbe verificata una vera e propria “pulizia etnica” nei confronti della popolazione russofona, con bombardamenti e operazioni militari condotte dal governo ucraino. Questo, secondo la narrativa russa, ha contribuito a far precipitare la situazione fino all’intervento diretto di Mosca. A differenza della politica di Joe Biden, che ha fornito massicci aiuti economici e militari all’Ucraina, l’amministrazione Trump-Vance si è detta pronta a una revisione del coinvolgimento statunitense nel conflitto. Il nuovo corso prevede una strategia meno aggressiva nei confronti di Mosca e una ridefinizione degli interessi strategici americani. L’obiettivo dichiarato è garantire la sicurezza degli Stati Uniti senza impegnarsi in conflitti a lungo termine che non rientrano nelle priorità dirette di Washington. Questo potrebbe tradursi in una minore pressione sulla Russia e in una possibile ridefinizione del ruolo della Nato. Se gli Stati Uniti dovessero ridurre il loro supporto all’Ucraina o cercare un compromesso con Mosca, l’Europa si troverebbe di fronte a una scelta cruciale: rafforzare autonomamente le proprie capacità di difesa o negoziare un nuovo equilibrio con la Russia. Finora, l’Unione Europea ha seguito la linea dura dettata da Washington, ma un’eventuale riduzione dell’impegno americano potrebbe lasciare i governi europei senza una strategia chiara. La dipendenza energetica dalla Russia, le tensioni interne all’Ue e le divergenze tra gli Stati membri, renderanno la situazione ancora più complessa. Il cambio di rotta degli Stati Uniti, se confermato, potrebbe segnare la fine di un’epoca e l’inizio di una nuova fase nei rapporti tra Europa, Russia e Stati Uniti. Resta da vedere se l’Europa sarà in grado di comprenderlo per tempo.

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