di Alessandro Silvestri
Tanto la campagna elettorale di J.F. Kennedy nel 1960, che la sua successiva amministrazione, si caratterizzarono per l’intenso e serrato lavoro di squadra, con la quale il primo presidente cattolico degli Usa, non cessò mai di confrontarsi e collaborare. Uno staff costituito dal meglio dell’intelligenza progressista del Paese, incluso il più politico dei Kennedy, suo fratello Bob. Particolare influenza ebbe lo storico e due volte vincitore del Pulitzer, Arthur Schlesinger Jr. ispiratore della “New Frontier” della quale curò anche la parte dei discorsi pubblici per JFK. Non molti sanno che Schlesinger ad Harvard – figlio dell’omonimo rettore – fu tenuto sulle ginocchia di Gaetano Salvemini fin da piccolo, per poi divenire uno dei suoi allievi più attenti e prolifici. A proposito della presidenza Nixon, la definì “the imperial presidency”. Evidentemente non aveva la minima idea che un giorno sarebbe arrivato alla Casa Bianca, un certo Donald Trump. E infatti, oltre al bar di “Guerre Stellari” al completo, col quale si è circondato, una delle fonti principali del “Think Sink” del tycoon newyorkese, è senza dubbio la ultraconservatrice Heritage Foundation che sta dettando le direttive sulle strategie di politica estera e difesa, della sua seconda (e forse non ultima) presidenza. Già, perché tra le quotidiane schioppettate, ha anche affermato che in qualche maniera potrebbe fare un terzo mandato, una staffetta con Vance – à la russe – sul modello Putin/Medvedev. Attenzione perché quelli che sembrano i capricci di un dissennato monarca, sono invece le strategie studiate dal gotha più retrivo e reazionario della sto- ria americana. E d’altra parte le immagini dei trilioni di dollari al metro quadro, presenti al suo insediamento, raccontano più di ogni altra cosa, la corte formatasi intorno a Trump, e gli interessi di quella élite che si sarebbe detta un tempo, turbo-capitalista. La destrutturazione della Nato per gli alleati occidentali; l’uscita dall’Oms; il tira e molla con Putin e Zelensky, anche se l’idea che trasuda nei rapporti col collega di Mosca è che facciano un po’ come i ladri di Pisa: di giorno litigano, e la notte vanno a rubare assieme. La “ristrutturazione” di Gaza; le minacce di bombardare l’Iran se non collabora e non tratta direttamente con lui; la volontà di occupare il Canale di Panama e di prendersi la Groenlandia e pure il Canada se non la piantano di protestare per i dazi: riedizione del Lebensraum alla yankee? Gli ultimatum all’Europa; il riposizionamento militare sul quadrante asiatico per contrastare più da vicino la Cina (e intanto il segretario alla difesa Hegseth, sta facendo pressioni su Taipei per portare le spese militari al 10% del Pil, attualmente al 2,5%). Le manovre di controllo sul Mar Rosso, con conseguente deportazione degli Huthi sui fondali marini… Questo grossomodo l’antipasto servito dalla Casa Bianca, al resto del mondo. Ma che non si parli per favore di ghiribizzi di un anziano miliardario che ha esagerato assai con le pillole blu. C’è del genio nel caos apparente. E menomale che i trumpiani di casa nostra hanno enfatizzato da subito sulle doti pacifiste del taumaturgo, con una locuzione tanto cara ai nostri sovranisti: ci pensa lui. Questa idea di uomo della provvidenza che non tramonta. Anche quando lascia dietro di sé non già resort in riva al Mediterraneo per danarosi annoiati, bensì macerie. Speriamo sia tutto finito con Gaza, e anche per Gaza. Sul fronte interno intanto l’azienda di bidoni elettrici a quattro ruote del suo migliore amico Musk, sta già trasformandosi in uno dei peggiori affari del secolo. È bastato soltanto l’annuncio dei dazi, figuriamoci quando entreranno a regime. In Europa e negli altri Paesi occidentali le vendite sono in caduta libera, e anche le principali aziende di autonoleggio stanno annunciando che non compreranno più Tesla. Quello che voleva portare l’umanità su Marte, è facile che non riuscirà più a far portare nemmeno a cena fuori, sulle sue auto, i signori borghesi americani, visto l’analogo boicottaggio di molti personaggi dello spettacolo statunitensi. Anche perché da quando è stato creato il D.O.G.E (il dipartimento per l’efficienza del Governo) a Musk è toccata la patata bollente dei licenziamenti “strategici” di una lunga serie di dipartimenti pubblici, dall’Institute of Peace di Washington (l’agenzia che si occupava della mediazione dei conflitti) alla Cia. Possiamo tutti immaginare quali siano i criteri di valutazione. La cosa buffa, chiamatela se volete eterogenesi dei fini, è che intanto dalla Cina si stanno organizzando per riassumere i licenziati di Trump, come ha scoperto la Reuters, attraverso una rete di aziende riconducibili alla Smiao Intelligence. Di cosa si occupi questa Smiao, lo lasciamo alla fantasia dei lettori. A proposito di cinesi che hanno lasciato il segno, ce n’era uno che diceva: “grande è la confusione sotto il cielo” e la situazione potrebbe essere dunque eccellente per i trumpiani di casa nostra, ex capitani e neo-generali compresi, per riprendersi il Canton Ticino e liberare San Marino. Se non ora, quando?