di Alessandro Silvestri
Alla fine l’ondata nera, spauracchio di queste dirimenti quanto determinanti elezioni anticipate tedesche, è stata arrestata soprattutto grazie all’affluenza record del 82,54%, la più alta dalla riunificazione del 1990. Gli elettori (a parte quelli dei lander orientali che hanno decretato il raddoppio della Afd da 10,35% a 20,8%) con la loro forte presenza alle urne, hanno contribuito a rafforzare quel “brandmauer” (muro antincendio) per fermare quella sorta di “revenge-porn” neo-nazista che sta lambendo pericolosamente l’Europa. Anche grazie all’irrituale sostegno che sta giungendo dal cerchio magico trumpiano. Con Elon Musk portabandiera del Mega (Make Europe Great Again) che potremmo tradurre con un prosaico “Menga”. Termine che i tedeschi probabilmente non conoscono, mentre invece hanno dimostrato ampiamente di aver assimilato l’italico gesto dell’ombrello. Quanto agli endorsement di matrice putiniana, quelli ormai sono attivi da anni. Friedrich Merz è l’indiscusso vincitore di queste elezioni, portando il Cdu/Csu al 28,52% (+ 4,42%). Allievo di Wolfgang Schäuble e antico avversario di Angela Merkel, è rientrato in politica proprio dopo l’uscita di scena della ex “madchen” (ragazzina) di Helmut Kohl, con la quale molto aveva battagliato per la supremazia nel partito e per la corsa al cancellierato, che si è concretizzata giusto vent’anni dopo. Liberista in economia, si definisce un conservatore sociale. È fortemente atlantista ed europeista e favorevole da anni ad un rafforzamento politico della Ue. Ha già dato alcune indicazioni chiare: innanzitutto mai al governo con l’Afd; sostegno all’Ucraina anche sull’entrata nella Nato; sì all’esercito europeo; tagli alla spesa pubblica anche per quanto riguarda il numero dei dipendenti statali; superamento degli attuali limiti di sforamento di bilancio (ora allo 0,35%) e diminuzione delle tasse. Un risultato elettorale, va detto, ottenuto grazie anche all’annuncio di politiche più restrittive sul tema caldo dell’immigrazione, uno scudo psicologico che ha contribuito a diminuire i consensi tanto all’estrema destra che al populismo “rossobruno” della Sahra Wagenknecht che per uno 0,3% non entra nel nuovo Bundestag. Già, perchè il sistema elettorale tedesco è sostanzialmente proporzionale con uno sbarramento al 5% che consente da una parte la pluralità dei partiti (e il mantenimento di una loro precisa identità) e dall’altra, un buon compromesso di governabilità che costringe comunque a governi di coalizione. Visto che mai fino ad oggi nessun partito ha superato da solo il 50%, il cancelliere incaricato di formare il Governo è automaticamente il candidato del primo partito. E infatti il cancelliere in pectore Merz, dopo aver a lungo fatto la guerra a Scholz e al Spd, è praticamente certo un governo bicolore con i socialdemocratici, numeri alla mano. Olaf Scholz, di contro, è il vero sconfitto e ha dichiarato che si farà da parte per consentire al prossimo incaricato del partito (probabilmente l’attuale ministro della difesa Boris Pistorius) di guidare le trattative per la formazione del nuovo governo, che secondo le intenzioni dello stesso Merz, avverrà in tempi molto brevi. La Spd è crollata dal 25,7% del 2021, al 16,41% perdendo ben 86 seggi. Va da sé che i socialdemocratici avranno nei prossimi quattro anni da intraprendere un doppio e difficile percorso a ostacoli: tanto come alleati di minoranza dei popolari, che nell’obbligatorio processo di rinnovamento del partito. Sull’ingresso dei verdi nel prossimo governo, pesa il veto del governatore della Baviera (la motor valley tedesca) Markus Soeder (Csu) che non ha gradito affatto le scelte europee sulla fine annunciata del motore endotermico, sulla quale molto ha pesato la posizione proprio dei verdi; e anche l’elettorato legato storicamente all’industria metalmeccanica e automobilistica, ha influito sull’arretramento dei “grünen” che sono scesi al 11,61% perdendo 33 seggi. Netto e assordante il tonfo dei liberali del Fdp, che da partito di governo con il peso dei loro 92 parlamentari, non è riuscito a superare la soglia di sbarramento. La vera torta in faccia a Christian Lindner, l’ex ministro delle finanze della cancelleria Scholz. Linke ha quasi raddoppiato i voti passando dal 4,89% al 8,77% ottenendo 64 deputati. Tuttavia, il segnale giunto da Berlino anche al resto dell’Europa, va considerato positivo, al netto del crollo dei socialdemocratici sui quali il PSE deve aprire una riflessione che riguarda tutti i partiti socialisti d’Europa. Quasi 40 milioni di tedeschi su 50, hanno dato un netto stop al partito della motosega tedesco, che nei prossimi quattro anni dovrà cercare di scovarle come minimo di sotto terra, per ripetere l’exploit. Ma sarà molto difficile. E anche il resto del continente si dovrà svegliare in tal senso per ricacciare indietro l’estrema destra e la sua notoria politica del menga. Italia compresa.