di Giada Fazzalari
Le questioni internazionali animano il dibattito di queste settimane, mentre le forze di opposizione al governo Meloni si ritrovano in Piazza del Popolo nel nome dei valori europei. Gianrico Carofiglio – scrittore, politico ed ex magistrato – fa un’analisi lucida su questo nuovo ordine mondiale, dove linguaggio verbale violento e nuove forme di populismo rischiano di tirar fuori gli istinti peggiori. Con un appello alle forze progressiste: capire dove albergano le diseguaglianze e invertire la rotta. Carofiglio è autore di un fortunato libro, l’ultimo in ordine di uscita, edito da Einaudi: “Elogio dell’ignoranza e dell’errore”, dove è contenuta un’analisi perfettamente calata in questo tempo.
Molti osservatori sostengono che da quando Trump è alla Casa Bianca sia in corso un cambio epocale – Stati Uniti e Russia una volta distanti ora vicini, le regole della diplomazia che sembrano essere sovvertite. È davvero in corso una rivoluzione geopolitica oppure semplicemente si stanno esasperando i toni?
«Non c’è dubbio che sia in corso un cambio epocale, perché le questioni che riguardano lo stile, il comportamento, il rispetto, nel mondo della politica e della democrazia non sono fatti formali o accessori ma sono componente sostanziale di come si instaurano i rapporti diplomatici: tutto questo è già saltato in aria e ripristinarlo sarà impegnativo. D’altro canto, il metodo del Presidente americano è quello che lui stesso ha teorizzato in un libro che ha scritto più di trent’anni fa. Spararla grossa, senza farsi nessun problema di coerenza o di attendibilità, figuriamoci del rispetto per gli interlocutori. E usare poi affermazioni clamorose e minacce come base per fare delle trattative».
Quindi è sostanzialmente inattendibile?
«Non bisogna dare nessun peso alle singole cose che dice Trump di giorno in giorno, perché il giorno successivo dirà una cosa diversa. Si tratta di strumenti tattici inseriti in una strategia di manipolazione collettiva. Vi sono anche meccanismi di tipo ipnotico nella trasmissione delle parole che pronuncia: viene definita “tecnica della confusione”, cioè dire tante cose completamente contraddittorie tra loro, portare in sovraccarico cognitivo il destinatario del messaggio e in questo modo avere accesso alla sfera meno cosciente e più esposta a ricevere messaggi anche pericolosissimi».
Parole che poi coincidono davvero con l’azione di governo?
«Cambiare una serie di meccanismi di funzionamento dell’amministrazione o delle politiche delle relazioni internazionali, è più complicato che abbaiare stupidaggini pericolose in faccia al mondo. Stiamo già vedendo cosa sta succedendo tra i ministri americani ed Elon Musk. Dopo tutto lo sventolare di bandiere e gli squilli di trombe, stanno già cominciando a fare una resistenza violentissima alla possibilità che questo signore possa direttamente procedere ai licenziamenti. Nell’ultimo consiglio dei ministri pare che Trump abbia detto che su molte questioni delicate Musk può proporre ma che saranno i ministri ad avere l’ultima parola»
A proposito di Musk: l’enorme potere nelle mani di un solo oligarca privato, si ripercuoterà sulla collettività?
«È un segnale sicuramente di quel cambiamento di cui parlavamo prima, ma al tempo stesso è il segnale che prima o poi, credo prima di quanto ci aspettiamo, gli scoppi tutto in faccia».
Lei diceva: Trump usa la tecnica della confusione. Ma nel suo vocabolario c’è una forma di violenza…
«La caratteristica del messaggio populistico è proprio questa: un’assenza sostanziale di contenuti, un utilizzo di stereotipi e al tempo stesso una capacità di evocare la parte peggiore dei destinatari del messaggio. Tutti noi, e per più ragioni, proviamo rabbia o addirittura rancore verso le cose che non funzionano. Specie in una società come questa in cui la disuguaglianza cresce in maniera preoccupante e le ingiustizie sono sempre di più, la gente è giustamente arrabbiata. Quel che fanno i populisti è indirizzare questa rabbia nella direzione sbagliata, individuando cioè capri espiatori. Questo offre un sollievo temporaneo a chi prova quel senso di disagio, inadeguatezza e rabbia. Il comportamento violento di questa nuova generazione di politici è come un’implicita autorizzazione a vivere senza nessun tipo di controllo la propria rabbia e l’ostilità verso un mondo che non piace».
E le forze di sinistra, cosa dovrebbero fare per arginare questa nuova forma di populismo?
«Il compito delle forze progressiste è quello di disinnescare questo meccanismo micidiale. Di far saltare, con buoni argomenti e soprattutto con una buona proposta politica, questo automatismo: rancore – violenza – populismo – ricerca dei capri espiatori, cercando in primo luogo di riconoscere le buone ragioni della rabbia che attraversano la nostra società, come l’ingiustizia per tanti e la progressiva perdita di dignità per fasce sempre più deboli della popolazione. Perché sono queste due cose che generano rancore».
Le diseguaglianze generano rancore…
«Le diseguaglianze di tutti i tipi, non solo quelle economiche. Le disuguaglianze sulle prospettive, quelle di dignità. La sinistra, le forze progressiste, devono essere capaci in primo luogo di riconoscerle, cercando di evitare quello che tante volte hanno fatto in passato, cioè guardare con aria di distacco superiore la rabbia diffusa nei ceti sociali che prima erano a sinistra e ora votano a destra. E poi essere capaci di indicare le vere cause e trasformare la rabbia e il rancore in indignazione, cioè nelle forze di trasformazione della società. Questo è il compito delle forze progressiste; non è facile, ma è l’unico modo che esiste per non darla vinta ai violenti, agli avventurieri o addirittura ai criminali».
Come si pone Giorgia Meloni nel rapporto con l’America di Trump, con cui lei ha un ottimo rapporto? Per Trump l’Europa è una specie di zavorra…
«Io credo che lei sia molto in imbarazzo: avrebbe gradito un rapporto di tensione tra America e Europa, ma non questo tipo di tensione violentissima e difficilissima da comporre, perché dove c’è tensione componibile c’è spazio per il ruolo che lei desiderava assegnarsi e cioè quello di intermediaria; ma nel momento in cui da oltreoceano le sparano così grosse da non poter essere in nessun modo condivisibili, diventa difficile ricoprire quel ruolo».
Farà gli interessi dell’Europa?
«Ho un ottimo metodo per non sbagliare le previsioni che è quello di non farle. Per ora Meloni sta navigando a vista».
Come si pongono gli intellettuali di fronte a questo processo “di pace o di guerra”?
«Credo che il ruolo dei cosiddetti intellettuali sia molto sopravvalutato. Non sono un’entità omogenea capace di influenzare quello che accade nella politica. Gli intellettuali vivono per definizione in una dimensione anarchica, di pensiero singolo. Certo, ci sono pensatori, filosofi, scrittori che hanno dato e danno origine a chiavi di lettura e idee che possono contribuire a fare da pensiero propulsore».
Come quella nata per la manifestazione del 15 marzo a Roma: “una piazza per l’Europa’?
«Sì, è così. L’idea di Michele Serra è ottima. È proprio il caso in cui un intellettuale che ha sempre avuto un occhio attento alla politica, ha suggerito qualcosa che può essere un pezzo della ricostruzione dell’azione politica progressista».
Parteciperà?
«Sì, sarò in piazza».