di Stefano Amoroso
C’era da aspettarselo, in fondo. Dopo aver impiegato un anno in una confusa e macchinosa revisione di un piano ereditato dal precedente Governo e dalla Commissione europea, che andava semplicemente attuato, l’Esecutivo guidato da Meloni ha finalmente ammesso la difficoltà nel raggiungere gli obiettivi previsti nei tempi prefissati. Parliamo del Pnrr, ovviamente, o “Italia Domani” come è stato ribattezzato. Lasciati da parte i toni trionfali del passato e le cautele emerse nello scorso autunno, nel primo trimestre del nuovo anno è apparso sempre più evidente quello che gli esperti già prevedevano da tempo: si rischia di non rispettare la scadenza naturale del 30 giugno 2026. Di conseguenza, Giorgetti e colleghi stanno valutando la possibilità di chiedere una proroga di un anno, fino al mese di luglio 2027, della scadenza del Pnrr. Anche se il Ministro Foti, che ha ereditato il dossier da Fitto, ufficialmente frena, l’opzione è ormai sul tavolo della Presidente del Consiglio. Sono soprattutto i progetti relativi alla scuola, all’inclusione ed alla sanità quelli maggiormente in ritardo, ma nei fatti non c’è un solo settore che sia effettivamente in linea con la cronologia del piano, ed i prossimi mesi rischiano di essere ancora più difficili a causa dei dazi e del rallentamento dell’economia. La Corte dei Conti ha evidenziato che, sebbene il raggiungimento degli obiettivi sia “in linea con le previsioni”, permangono criticità che richiedono attenzione costante ed interventi mirati in vista delle scadenze del Piano. S’ipotizza una proroga, dunque. Facendo leva anche sulle difficoltà di altri Paesi (tra cui Spagna, Portogallo e Croazia) a realizzare i rispettivi piani nazionali di ripresa e resilienza. Tuttavia la strada appare in salita: il commissario Ue al Bilancio, Piotr Serafin, ha espresso dubbi sulla fattibilità di estendere la scadenza oltre il 2026, sottolineando che una modifica del termine richiederebbe l’approvazione unanime degli Stati membri, che è un processo complesso ed incerto. All’interno del Governo italiano, peraltro, le posizioni non sono univoche. Mentre il ministro Giorgetti sembra propenso a richiedere la proroga, la Presidente Meloni appare più cauta, temendo che una richiesta di rinvio possa essere interpretata come un’ammissione di difficoltà nell’attuazione del Piano. Le opposizioni, nel frattempo, criticano l’esecutivo per i ritardi accumulati, in gran parte per la sua scelta insensata ed azzardata di rimettere in discussione un piano già definito, pronto e finanziato, e chiedono maggiore trasparenza sull’avanzamento del Pnrr, sollecitando Meloni a riferire in Parlamento sulla questione. Se l’Italia non riuscisse a rispettare le scadenze del Pnrr le conseguenze sarebbero molto gravi sia sul piano finanziario che politico. Prima di tutto, si rischierebbe una perdita (od un blocco) dei fondi europei: infatti, poiché l’erogazione dei fondi avviene a tranches legate al raggiungimento di obiettivi e milestone specifiche, se gli obiettivi non vengono rispettati nei tempi previsti, l’Ue può sospendere o ridurre i finanziamenti ed alcune risorse potrebbero andare perse in via definitiva. In secondo luogo vanno considerati i danni all’economia reale. Bisogna ricordare che molti investimenti del Pnrr riguardano infrastrutture, digitalizzazione, transizione ecologica, sanità e scuola. Se i fondi non vengono utilizzati, nell’immediato si perdono opportunità di crescita economica, il che è grave, ma nel lungo periodo rallenta la modernizzazione del Paese e si allargano i divari geografici e socioeconomici, il che è ancora più grave. Infine, imprese ed enti locali rischiano di trovarsi con progetti avviati ma non finanziati. In terzo luogo, va considerato l’impatto sul debito pubblico e sulla credibilità del Paese. Infatti, poiché la Ue potrebbe chiedere il rimborso delle somme non spese, aumenterebbe il rischio di tensioni con Bruxelles e la credibilità dell’Italia potrebbe subire un colpo, influenzando i mercati e lo spread. Le conseguenze politiche di questo quadro assai fosco sono facilmente immaginabili: il Governo rischia pesanti critiche e una crisi di fiducia, con tensioni all’interno della maggioranza, mentre l’opposizione potrebbe chiedere dimissioni ed elezioni anticipate. Sul piano europeo, infine, l’Italia potrebbe essere vista come un Paese inaffidabile nella gestione dei fondi comuni. E tutto questo, per giunta, in contemporanea con l’inizio delle discussioni su come organizzare l’ambizioso piano di difesa europea, a cui l’Italia è chiamata a dare un importante contributo.