Dazi vostri

di Alessandro Silvestri

“La più stupida guerra commerciale della storia” titolava tempo fa, non già un giornale della sinistra antagonista, ma il “Wall Street Journal” a proposito della politica dei dazi, una faccenda dalle reminiscenze medievali, quando gli avi di Trump (i tedeschi Drumpf) erano intenti a muovere macine di mulino a braccia o a strappare terre alle paludi per i signorotti dell’epoca. Piccola nobiltà terriera che appunto viveva dello sfruttamento di una massa indistinguibile di servi, nonché di dazi e di gabelle. È del tutto evidente che sia questo il mondo di riferimento dell’attuale inquilino della Casa Bianca. Perché è chiaro che se tu invece di circondarti della più raffinata élite culturale ed economica del tuo Paese, che ha (per adesso) le università più prestigiose del Pianeta, scegli Totò, Peppino e la malafemmena perché sono amici e famigli tuoi, al massimo puoi far ridere il mondo. Se hai un premio Nobel per l’economia, come Paul Krugman che ti dice che l’idea stessa dei dazi è sbagliata “come gettare sabbia negli ingranaggi del commercio e della produzione internazionale” lo devi ascoltare, così come suggerirebbe qualsiasi studente di una delle quindici migliori facoltà mondiali di economia su venti, che sono americane. Ma ci corre il dubbio che i veri obiettivi di Trump siano altri. Una sorta di “false flag” quella dei dazi, che nasconde disegni ancor più indicibili e pericolosi, in via di definizione con i capi dell’internazionale “pacifista” rossobruna Putin e Jinping. Una via diplomatica fatta con altri mezzi. Da buon pokerista incallito, sa bene che al tavolo delle potenze mondiali, se non ti accorgi dopo un po’ chi è il pollo, significa che il pollo sei tu. Intanto ha rimandato al 2 aprile l’entrata in vigore dei dazi per il Messico e il Canada, una sorta di “ammuina” dove sta facendo soprattutto la faccia feroce. Come con Zelensky. Persino alcuni sindacati americani, come quello dell’automotive, si sono buttati dalla sua parte, nella speranza che vengano risollevati i settori della produzione industriale, che però conta oggi soltanto l’8% del totale della forza lavoro, considerato che l’economia USA è già quasi giunta al livello di piena occupazione. Dove li troveranno gli operai necessari, se nel frattempo metteranno in atto le pratiche di espulsione coatta degli stranieri? E le infrastrutture necessarie, la formazione del capitale umano, la riconversione e ammodernamento industriale. È pensabile che si possa fare tutto questo con uno schiocco di dita? Male che vada, sono dazi vostri.

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