Alla corte dell’America

di Giada Fazzalari

Nella rivoluzione geopolitica che è in corso da quando Trump è alla Casa Bianca, mentre quelle vecchie granitiche alleanze atlantiche sembrano sgretolarsi giorno dopo giorno di fronte ai nostri occhi, l’Europa sembra aver perso la bussola, smarrita com’è nell’enorme scacchiere internazionale. Parla disunita, con mille voci diverse, e lo ha dimostrato nel vertice “informale” convocato da Macron a Parigi in fretta e furia la scorsa settimana. Un incontro che sembra aver cristallizzato, invece che appianato, le differenze. Un quadro reso assai più complicato, per l’Europa, dal riavvicinamento dei due blocchi un tempo avversari, l’America e la Russia, entrambi guidati da un presidente e un dittatore che taluni definiscono animati da pragmatismo ma che, a ben guardare, non sono che mossi da un disegno spregiudicato di supremazia (e neo-imperialismo) dotati come sono di poteri enormi. Il tutto tenendo a debita distanza l’Europa, proprio dal dialogo sul processo di pace per la fine della guerra in Ucraina. Un’Europa così debole, che al tavolo del vertice francese si è divisa proprio sull’atteggiamento da tenere verso gli Stati Uniti. Alla premier italiana Giorgia Meloni, arrivata a Parigi con un’aria poco convinta (si sarà chiesta: “mi si nota di più se non mi presento o se arrivo in ritardo e me ne sto un po’ in disparte”?) sembrano essere scivolate di dosso le intemerate di D.J Vans contro l’Europa, che ha difeso e giustificato. Come non sembrano aver colpito Palazzo Chigi, le minacce – anche poco velate – di Trump all’Europa, a partire dai dazi. Perché la premier si è affettata a sottolineare che “le discussioni non debbano essere interpretate come un fronte anti-Trump”, perché, probabilmente, è vero il suo contrario: per Meloni Trump è così necessario, da porre l’Italia in una condizione di subalternità su tutto: sulla guerra in Ucraina (dove probabilmente Meloni farà una piroetta, accettando una pace fatta sulla pelle di Kiev); sul Medio Oriente, con il silenzio inaccettabile del governo sulla deportazione dei palestinesi da Gaza; sulla sicurezza e l’economia. E così fa l’equilibrista: non molla l’Europa ma non consente strappi con Trump. Veste, insomma, i panni della portavoce del tycoon, contro i nostri stessi interessi nazionali. C’era una volta un grande Paese che, in un passato neanche troppo lontano, è stato protagonista nello scacchiere internazionale.

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