A Gaza ancora strage, la tregua non c’è mai stata

di Andrea Follini

I riflettori puntati sull’Ucraina, sulle follie del presidente americano e sulla traballante europeicità degli italiani, hanno distolto il nostro sguardo per troppo tempo dall’altro fronte di tensione internazionale, a due ore circa di volo dall’Italia. La crisi mediorientale, che con tanta crudeltà era tornata alla ribalta internazionale il 7 ottobre 2023 dopo il vile attacco dei terroristi di Hamas nei confronti di militari ma anche di inermi civili israeliani, è rimasta per settimane ai margini della cronaca e dell’analisi dei media italiani. Torniamo noi a raccontare quanto sta succedendo in Palestina, nella Striscia di Gaza ed in Cisgiordania, preoccupati dalla recente rottura della fragile tregua che ha visto una nuova incursione nella Striscia con più di quattrocento morti tra i civili. Del resto, non erano mai cessati neanche i raid dell’aviazione israeliana, continuando a mietere morte e distruzione. Così come è bene ricordare che non cessano le tensioni in Cisgiordania, dove l’Idf (l’esercito israeliano) ed i coloni continuano ad esprime una violenza che genera morte e distruzione, ma per lo più nascosta all’opinione pubblica internazionale. Il 1° marzo è terminata la prima fase prevista dagli accordi siglati tra Israele ed Hamas che ha visto dal 19 gennaio scorso fermare le incursioni dell’esercito nei territori. Gli aiuti che avevano da allora ricominciato ad entrare a Gaza sono però stati nuovamente fermati da Israele. La situazione dal punto di vista sanitario, come continuano a denunciare le ong impegnate sul campo e la stessa federazione tra Croce Rossa Internazionale e Mezzaluna Rossa, continuano ad essere disastrose. L’unica linea elettrica che alimenta il principale desalinatore della Striscia e che fornisce l’acqua a centinaia di persone, è stata bloccata da Israele. Con le conseguenze che si possono solo immaginare. Le decisioni prese dal governo israeliano con la conseguenza di bloccare, di fatto, la vita nella Striscia, si legano alla scarsa volontà israeliana di riprendere le trattative in Qatar per avviare la seconda tranche degli accordi che prevedevano di mantenere la tregua iniziata a gennaio, partendo per Tel Aviv da una posizione di supremazia; l’obiettivo era di esercitare pressione su Hamas, di cui Israele chiede lo scioglimento, oltre che la smilitarizzazione dei territori ed il prioritario rilascio degli ultimi ostaggi ancora nelle mani dei miliziani. Tutto andato all’aria dopo il blitz di martedì scorso. Non dobbiamo dimenticare che l’evoluzione della situazione è strettamente legata, come nel recente passato, alla situazione interna in Israele. È un aspetto di tutta la questione israelo-palestinese che spesso dai media europei non viene approfondita ed analizzata, tenuta quasi in secondo piano, come non vi fosse una stretta relazione con le operazioni sul campo. I guai per Netanyahu ed il suo esecutivo, sul fronte interno, non sono terminati. E non solo nel rapporto con la giustizia israeliana. Continua a far sentire la propria voce di dissenso e la propria contrarietà all’azione del governo, l’associazione dei familiari dei rapiti, sostenuta da molti cittadini che si sono uniti alla protesta. All’esterno del ministero della difesa, su Begin Road a Tel Aviv, persiste e si amplia l’accampamento che sta assumendo dimensioni riguardevoli: parenti degli ostaggi, con amici e sostenitori, continuano ad esercitare pressione sul governo perché si attivi una pace vera che consenta ai propri cari di ritornare alle loro case. I guai per Netanyahu non mancano anche nei rapporti con le forze di intelligence. Il premier ha informato il capo dello Shin Bet, il servizio di controspionaggio interno israeliano, che intende licenziarlo. Le motivazioni indicate per tale scelta sono legate ad una generica mancanza di fiducia di Netnayahu nei confronti di Ronen Bar; meno si dice sulla volontà di quest’ultimo di testimoniare rispetto alle mancanze del premier anche rispetto al 7 ottobre. Non sono mancate reazioni anche molto forti alla presa di posizione verso il capo del controspionaggio. Il giornale israeliano Haaretz riporta quanto dichiarato dal presidente del partito di sinistra Democratici, Yair Golan, sulla questione: «Il licenziamento del capo dello Shin Bet rappresenta un disperato tentativo da parte di un uomo incriminato di sbarazzarsi di chiunque sia fedele a Israele e stia indagando su Netanyahu e la sua cerchia ristretta per crimini gravi e inquietanti, e non sia disposto a nasconderli – ha affermato -. Quanto più le indagini vanno in profondità, quanto più connessioni problematiche vengono alla luce, tanto più Netanyahu si fa prendere dal panico, incita, licenzia, minaccia. Combatteremo valorosamente per impedire a Netanyahu di trasformare Israele in una dittatura guidata da un uomo corrotto». Una situazione quindi tutt’altro che serena per il premier israeliano, ma che segna anche un nuovo atteggiamento della sinistra israeliana, resasi finalmente più combattiva nei confronti della politica del governo di estrema destra. Si rende sempre più necessario quindi leggere la questione mediorientale analizzando anche quanto sta accadendo nella società israeliana, continuando a mantenere nel contempo alta l’attenzione dell’opinione pubblica su quanto succede a quelle latitudini. È una responsabilità che noi abbiamo il dovere di assumere.

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