Salvini vuole il Viminale per la sua propaganda

di Andrea Follini

12C’è chi dice che avesse già portato a lavare le felpe. Quelle con la scritta Polizia, Vigili del Fuoco…quelle insomma con le quali ci ha abituato a distinguerlo negli anni. Anche se di quegli anni passati alla guida del Viminale ricordiamo bene che, oltre alle felpe indossate (che a dirla tutta hanno più volte fatto arrabbiare gli stessi appartenenti a quei Corpi), poco altro c’è stato. Ma è così: al leader della Lega, l’antico amore per il dicastero che fu di Ferruccio Parri, Mariano Rumor e Giorgio Napolitano, continua a far palpitare il cuore. Non ricorda il nostro che già all’epoca della formazione del governo in carica il suo ritorno al ministero dell’Interno fu stoppato dalla Presidente del Consiglio. Forse il combinato disposto dell’approvazione dell’ultimo Decreto Sicurezza, arrivata a poca distanza dalla celebrazione del congresso del suo partito che lo ha visto, acclamato, riconfermato nel ruolo di segretario, gli aveva fatto sperare in un’onda lunga di positività nei suoi confronti. Ma, come era logico immaginare per chi in politica ragiona con la testa, e non col “cuore”, al solo palesarsi della possibilità di un ritorno di Salvini al Viminale, nella stessa maggioranza di destra vi è stata una immediata levata di scudi, tanto sentita da far ipotizzare allo stato maggiore di Forza Italia addirittura una possibile crisi di governo. Non è mancata nemmeno la stoccata di Maurizio Lupi per Noi Moderati, secondo il quale Salvini starebbe bene dove sta, lavorando per portare a termine le “sfide fondamentali” come il Ponte sullo Stretto di Messina… Insomma, “non sa da fare”. Punto. Si capiscono le preoccupazioni dei suoi alleati: a Salvini il Viminale servirebbe solo come cassa di risonanza della sua propaganda. Lo abbiamo visto tutti, in passato. Anche perché si sa bene, a Palazzo Chigi, che un “rimescolamento delle carte”, in questo momento non facile, non sarebbe di certo utile alla causa complessiva dell’Esecutivo, che di gatte da pelare ne ha già a sufficienza e, per come vanno le cose nel mondo, ne avrà anche di più in futuro. Ed un eventuale collocamento di Salvini nella casella dell’Interno, significherebbe anche occupare quella che attualmente il leader della Lega detiene al Ministero delle Infrastrutture. Dove, per inciso, le cose non vanno poi benissimo, considerando che le grandi opere finanziate con i fondi del Pnrr non trovano piena attuazione, tanto da essere in predicato una richiesta di proroga a più anni rispetto alla scadenza del 2026. Così come ha trovato grande contrarietà nei Comuni la decisione di Salvini di rinviare ulteriormente l’emissione dell’atteso decreto chiarificatore sugli autovelox, cosa che costretto molto comuni a lasciare spenti gli strumenti e, conseguentemente, a mettere pesantemente mano ai propri bilanci, rivedendo le entrate (e alla faccia della sicurezza stradale). Per non parlare dei treni, dei ripetuti blocchi della circolazione ferroviaria degli ultimi mesi che hanno lasciato a terra migliaia di viaggiatori. Non ha fatto bene alle Infrastrutture; non ha portato alcun miglioramento alla gestione del ministero dell’Interno in passato (ricordiamo in particolare la questione dell’immigrazione). Non si capisce certo come le cose potrebbero cambiare ora. In tutto ciò resta che, come nulla fosse, questa querelle ha messo nel tritacarne, senza tanti complimenti, una figura politica ma anche tecnica come quella dell’attuale inquilino del Viminale. L’altro Matteo, Piantedosi, che tutti in maggioranza si sgolano nel definire di grande capacità e competenza, è stato nella sua lunga carriera Prefetto in diverse città italiane (tra cui Roma), ma anche Capo di Gabinetto di un altro Ministro dell’Interno proveniente dalla stessa carriera prefettizia e di tanta attenzione per l’equilibrio che il ruolo esige: Luciana Lamorgese. Non è quindi, Piantedosi, uomo che non conosca come nel “micromondo ministeriale” ci si debba muovere. Ed infatti, interrogato sul desiderata espresso da Salvini, non ha esitato a glissare portando l’attenzione dei cronisti su altro. Come dire: “Salvini chi?”, anche se in modo più elegante. Giorgia Meloni ha quindi un nuovo grattacapo da gestire; l’ennesimo, in una compagine di governo che tra liti, sgambetti e rinvii a giudizio, non si sta facendo mancare nulla. Se pensassero però un po’ meno a loro ed ai loro problemi di sopravvivenza, ed un po’ più agli italiani ed alle loro difficoltà, non sarebbe poi così male.

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