di Rocco Romeo
Il protezionismo americano torna a scuotere l’economia globale. La nuova ondata di dazi voluta da Washington si abbatte sui mercati come un ciclone, provocando un crollo generalizzato: a Milano le banche, a qualche ora dall’annuncio dei dazi, sono affondate fino al -12%, mentre le Borse asiatiche chiudono in profondo rosso. La reazione a catena innescata dalla stretta commerciale americana non si limita ai listini. La tensione sale anche a livello politico e istituzionale. In Italia, la premier Giorgia Meloni ha convocato un vertice straordinario con i ministri economici per valutare l’impatto dei dazi sui comparti strategici del Paese, dall’agroalimentare all’ automotive, dalla moda alla meccanica di precisione. Settori trainanti per l’export italiano, che rischiano ora di essere pesantemente penalizzati. Ma è proprio qui che emerge l’incapacità del governo e di alcuni ministri, apparsi spaesati e privi di una strategia chiara. Le risposte sono tardive e frammentarie, la gestione della crisi sembra improntata più a inseguire gli eventi che a governarli, lasciando imprese e lavoratori nell’incertezza più totale. La mancanza di una visione unitaria indebolisce ulteriormente la credibilità dell’Italia sui tavoli europei e internazionali, rendendo più difficile far valere le proprie ragioni. La Commissione Europea ha intenzione di rispondere con un elenco di prodotti americani da colpire con nuove tariffe doganali e votando un pacchetto di contromisure. L’obiettivo è chiaro: proteggere l’economia europea e inviare a Washington un messaggio di fermezza. La strategia della Casa Bianca non lascia spazio a fraintendimenti. Ben cinquanta Paesi, nelle ultime settimane, hanno tentato di intavolare negoziati con l’amministrazione statunitense per evitare l’imposizione di dazi. Ma la risposta è stata sempre la stessa: un secco no degli Usa di Trump e dei suoi colonnelli, convinti che il protezionismo sia la cura necessaria per rilanciare l’economia americana. Questa posizione, però, rischia di avere effetti collaterali destabilizzanti ben oltre i confini degli USA. L’assenza di margini di trattativa costringe il resto del mondo ad attrezzarsi in fretta. Il timore, però, è che si entri in una spirale difficile da governare: il rischio di un’escalation è concreto, con ripercussioni pesanti per famiglie, imprese e lavoratori su scala globale. Intanto, la fragilità politica interna e l’incertezza delle contromisure europee non aiutano a rassicurare mercati e cittadini. L’Europa sembra intenzionata a non subire passivamente le conseguenze di una guerra commerciale. Ma per reagire serve compattezza, visione strategica e soprattutto capacità di governo, qualità che in questo momento, tra Bruxelles e Roma, sembrano ancora drammaticamente carenti.