Salvini che vuole il Viminale? E’ un capriccio feudale

di Nautilus

Già prima del ciclone Trump eravamo abituati a quasi tutto, non ci stupivamo quasi più di nulla. Ora le “mattane” del presidente americano rischiano di sprofondarci nella assuefazione integrale. Un guaio, perché l’assuefazione è la premessa alla rassegnazione, mentre una sana indignazione è la premessa per un sempre possibile progresso. Ecco perché la sortita di Matteo Salvini, “il Viminale? Parliamone…” è parsa ai più una ordinaria bizzarria. E tale è, in effetti. Ma oramai sta diventando ordinario quel che dovrebbe essere straordinario. Non era mai capitato prima che un leader di partito, che è già ministro, rivendicasse in corso d’opera un altro incarico, non solo per il proprio partito ma addirittura per sé medesimo. Non era mai accaduto per almeno tre buone ragioni. Primo: perché i ministeri non sono residenze da scambiare tra feudatari. Secondo: un ministro si rimuove per una evidente colpa e non risulta che il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sia oggetto di sfiducia da parte dei partner di governo, men che mai da parte della Lega. Terzo: una forma di rispetto minimo impone che un eventuale cambio alla guida di un ministero avvenga dopo aver consultato l’interessato e non sia oggetto di una degradazione pubblica sulla piazza mediatica. Ma c’è una ragione che rende inconsistente l’autocandidatura di Salvini: quando lui divenne ministro dell’Interno, col governo Conte 1, la Lega era reduce da un successo elettorale: 17,4% e oltre cinque milioni di voti. Nell’autunno 2022 Salvini non è potuto tornare al Viminale soprattutto perché la Lega era reduce da un crollo elettorale: dimezzamento degli elettori e della percentuale. E la politica di Salvini, ostilità ai migranti che in due casi si era spinta a non farli scendere per giorni e giorni sul suolo italiano, è stata giudicata irrilevante dai magistrati delle Corti penali, ma nella sostanza è stata bocciata dal governo Meloni e dal ministro dell’Interno Piantedosi: da due anni e mezzo non è mai stata riproposta una situazione assimilabile a quelle che hanno portato sotto processo Matteo Salvini. Non è poco. Anzi, è tutto qui.

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