L’arte della pace e le ambiguità del pacifismo con l’elmetto

di Alessandro Silvestri

Molti italiani (ma anche molti europei) sono vittime oggi della guerra psicologica e della propaganda dei nemici dell’Europa. Una strategia politica e militare ben nota nella storia dell’umanità. Ma poco nota ai nostri contemporanei che vivono in una sostanziale bolla dove la costante disinformazione, unita alle carenze culturali, si intrecciano e producono populismo a getto continuo. Terreno fertile questo, per la buona riuscita del disegno di indebolire dal di dentro, le nostre democrazie così faticosamente raggiunte, dopo secoli di distruzione e spargimento di sangue. Tv e giornali particolarmente vicini a Lega e 3 stelle (due le hanno già perse per la via) sono “vittime” della guerra propagandistica tanto di Putin che di Trump, distintasi per particolare tracotanza e fellonia. Correndoci l’obbligo di includere in questo trasversalissimo e travisante parterre, la sinistra radicale neo massimalista, l’estrema destra fascistissima ed i rosso-bruni alla riscossa. La rimaterializzazione, in sostanza, di un moderno e poliedrico cavallo di Troia, che viaggia dentro la rete, dentro l’informazione e dentro la politica, e ha effetti non meno insidiosi e fatali di quello dell’itacese. Lo stesso trattato di Sun Tzu scritto nel V secolo avanti Cristo, “L’arte della guerra” un testo che tutti dovrebbero leggere e possibilmente comprendere, insegna come indebolire il nemico ben prima che la guerra sul campo venga scatenata e se possibile, tentare di piegarlo senza combattere, o riducendo al massimo il teatro di scontro diretto. Come avvenuto ad esempio nella “Impresa dei Mille” dove soprattutto intelligence e corruzione, sgretolarono lo Stato più antico presente in Italia, quello duosiciliano. Altro aspetto fondamentale per vincere una guerra (anche quelle economiche in atto) è assicurarsi governi collaborazionisti, diretti: come quello di Pétain in Francia nel 1940; o forme indirette come quello di Orban ai giorni nostri. Tentativo analogo per adesso fallito in Romania. Altro fenomeno arcinoto, la straordinaria efficacia della propaganda hitleriana, utilizzata prima per giungere al potere, e convincere la Germania dopo, ad entrare in guerra cantando. Organizzata militarmente come possente fabbrica di fake news, dal suo braccio destro Joseph Goebbels. “Patrono” di tutti i giornalisti ed intellettuali che hanno abdicato all’ottemperanza deontologica professionale. Molti, troppi giornalisti italiani hanno lestamente indossato fez, stivaloni e orbace e imbracciato senza esitazione il megafono della propaganda. Tecniche soltanto modernizzate dai mezzi odierni, ampiamente utilizzate non a caso dal governo russo anche per favorire l’ascesa di Trump. In questo bailamme succede che, nel lungo tragitto dei corsi e dei ricorsi storici, i sedicenti pacifisti italiani (consapevoli di essere o meno sedicenti) continuano a fare gli errori di quelli del passato, che ad esempio, tra i ‘70 e gli ‘80 manifestavano e marciavano contro l’installazione degli euromissili in Italia, Gran Bretagna e Germania. Con la convinzione che l’assioma “armi uguale guerra” sia per forza automatico. Un pensiero debole, che però miete numerose vittime. Ieri come oggi. Lo sosteneva anche un grande statista ed europeista come Francois Mitterrand: i pacifisti stanno ad Ovest, ma i missili sono ad Est. Pure i nostri nonni e bisnonni, i liberali, i repubblicani e i socialisti, hanno imparato a loro spese che, da disarmati, anche le formidabili idee di progresso e civiltà di cui erano portatori si infrangevano facilmente, nelle bordate di cannone e nella repressione della reazione e del dispotismo. I profeti disarmati, come sappiamo, finiscono per non servire alcuna causa. E così il sogno di una grande Europa, unita e coesa nel progetto di rafforzare e difendere la pace e la democrazia, non può che essere sostenuto da una difesa comune, che per cause contingenti non può più, allo stesso tempo, procedere con le lentezze burocratiche che conosciamo. L’accelerazione impressa dalla Von der Leyen e accolta a grande maggioranza dal Parlamento Ue, non è la migliore delle soluzioni, ma è servita senza dubbio a rimuovere l’esitazione e l’incertezza che ha caratterizzato fin qui i governi europei. Si deve compiere un’opera di architettura politica e scientifica che elabori gli ambiti della risposta da dare in termini di spesa, di efficacia e di resa. Gli ottocento miliardi buttati sul tavolo della crisi internazionale, sono stati una risposta forse un po’ “trumpiana”, ma hanno certamente mostrato una volontà di azione che ha risposto a muso duro alle minacce di Mosca e di Washington. E in questa svolta storica non siamo soli, visto che i cosiddetti “volenterosi”, il Canada, la Gran Bretagna ed altri Paesi extra Ue come Australia e Nuova Zelanda, si sono detti pronti a collaborare nella ridefinizione di una alleanza che superi (se sarà necessario) la dipendenza dagli Usa, visti i propositi di liquidazione, dopo ottant’anni, del patto atlantico e della pace e dello sviluppo che ha garantito attraverso la sua estesa condivisione e la sua forza potenziale. Che non è necessario affatto usare, come accusano scompostamente i professionisti del pacifismo, e come è accaduto, ma che diventa garanzia determinante nei rapporti internazionali. La Nato, spauracchio di ogni ferro vecchio di questo Paese, come di altri, non ha mai provocato alcuna guerra. Casomai ha contribuito ad evitarne un grande numero. E ben lo sapeva una icona della sinistra allergica ai governi “borghesi” come Berlinguer. Difendere la pace concretamente e non a chiacchiere, passa da questo difficile tornante della storia. Come socialisti, italiani ed europei, sappiamo bene che le scelte chiare e ragionate, anche quelle momentaneamente impopolari, sono le sole che possono garantire risultati utili per difendere la pace. E la sinistra italiana molto ha da imparare dalla storia socialista. Che ha saputo dire dei no e dei sì fondamentali per i processi di unità tra le classi lavoratrici e tra i popoli d’Europa.

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