Tornare ai partiti

di Giada Fazzalari

La reputazione dei partiti è in calo da molto tempo, da decenni e, da ultimo, la mancanza di chiarezza sulle questioni internazionali che animano il dibattito in questi mesi ha contribuito a peggiorarla. Benché oggi siano in crisi di legittimazione e svuotati della loro “vera” missione di “ponte tra Stato e cittadini” – missione realizzata compiutamente solo nella prima Repubblica – i partiti sono stati architrave essenziale del sistema istituzionale italiano: hanno progettato e costruito, con il pensiero politico e la lotta armata della Resistenza, l’edificio istituzionale della Repubblica descritto e prescritto nella Costituzione del 1948. La Seconda Repubblica ha determinato la fine dei partiti di massa con un golpe giudiziario che ha cambiato, forse per sempre, il volto del nostro Paese, trasformandoli in meri comitati elettorali, nonostante fino ad allora fossero stati l’unico strumento per selezionare la classe dirigente del Paese. I Congressi politici trasformati in grandi circhi mediatici autoreferenziali, dall’esito già scritto, quando si celebrano (FdI due congressi in undici anni, Forza Italia due in venti anni). E così, i partiti storici sono stati sostituiti da forze populiste liquide, da corporazioni, mentre gli interessi privati si organizzavano in lobby, orientate a privatizzare la parte migliore del patrimonio pubblico. E siccome i partiti, ovvero i pilastri della democrazia, sono stati spazzati via nel ‘92-’94, anche la democrazia a grande partecipazione popolare, già in crisi in tutto l’occidente, ne ha risentito soprattutto in Italia, fino a smarrirsi o perdersi, come sosteneva Ugo Intini, senza che il popolo neppure se ne accorgesse. E se i partiti funzionano male e non assolvono al loro compito di formare la coscienza civile del Paese, inevitabilmente anche la società peggiora, e con essa anche la qualità della democrazia, come in una sorta di spirale perniciosa. E così, mentre chi ha talenti cerca di valorizzarli fuori dal Paese, le classi dirigenti che si formano sono sempre più incompetenti e mediocri. Per rendere la democrazia più robusta, bisognerebbe tornare a partiti che celebrano congressi per eleggere segretari e gruppi dirigenti capaci. Leader autorevoli e motivati, non influencer. Il Psi, il più antico partito italiano, forte della sua tradizione democratica più che centenaria, celebra il suo congresso con le regole di sempre: centinaia di delegati eletti democraticamente che confluiscono da tutta Italia a loro spese, mossi dall’amore per l’ideale, per concorrere alla definizione di una linea politica. Come sempre il dibattito sarà di un livello sconosciuto nei partiti populisti maggioritari, a conferma di come la povertà dell’elaborazione politica determini il decadimento dell’intera società. Il processo non è tuttavia irreversibile: i partiti possono e devono tornare ad acquisire centralità e riconquistare il proprio ruolo sociale, politico, culturale. Come si sarebbe detto negli anni ‘80, è una necessità storica: l’involuzione si è così avvitata da determinare le condizioni per il risveglio della voglia di politica vera, di contenuti, nei cittadini. Così la fiamma che i socialisti italiani hanno tenuta accesa negli ultimi trent’anni diventerà una fiaccola che tornerà ad illuminare il futuro degli ultimi.

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