di Stefano Amoroso
1I colloqui più che amichevoli tra Trump e Putin non nascono dal nulla. I nostri lettori con una maggiore conoscenza storica e lunga memoria, infatti, ricorderanno quelli avvenuti tra Bush e lo stesso Putin all’alba della Seconda Guerra del Golfo (20 marzo 2003 – 18 dicembre 2011, una delle guerre più lunghe e sanguinose mai combattute dagli Stati Uniti). Anche il presidente americano del tempo cercò di arruolare il giovane presidente russo, promettendogli in cambio sostegno economico e mano libera in politica interna. Nel 2003 l’America, ancora ferita dall’11 settembre e non contenta della vendetta portata a termine con fin troppa (apparente) facilità contro il regime dei Talibani in Afghanistan, cercava di regolare i conti con i suoi vecchi nemici. Tra questi, Saddam Hussein. Nonostante i mille avvisi sul fatto che l’avventura irachena sarebbe stata un grave errore strategico ed una trappola, Bush ed i suoi neocon volevano mostrare i muscoli al mondo intero. La Francia si oppose non perché avesse particolari simpatie per il dittatore iracheno, ma perché conosceva bene la storia mediorientale e sapeva che le pianure mesopotamiche sono un cimitero d’imperi: dai romani ai persiani, dai mongoli agli ottomani, tutti hanno fallito in quell’area. I fatti le hanno dato ragione. Ragione sostanzialmente ignorata dai repubblicani allora al potere a Washington che, così come quelli di oggi, erano troppo presi dalla loro retorica da potenza ferita e nipoti del “destino manifesto”, espressione coniata dal giornalista O’Sullivan nel 1845 in riferimento all’espansione degli Stati Uniti da un oceano all’altro, spazzando via i selvaggi pellerossa ed imponendo il loro modello di democrazia e libertà. La retorica del “destino manifesto”, fatta propria dai repubblicani a partire dal 1890, significa espansionismo nel mondo. Però, quando si combina con l’isolazionismo, come nel caso di Trump, finisce per creare una miscela micidiale e perversa. Per Trump, per dire, non esiste neanche l’idea di creare una “coalizione dei volenterosi” che, per lo meno ufficialmente, faceva dire a Bush ed ai suoi neocon di non star creando un impero a stelle e strisce ma un nuovo “ordine mondiale”. Dato questo retroterra culturale ed ideologico non deve sorprendere quanto accaduto lo scorso 24 febbraio, nel terzo anniversario della sciagurata invasione russa dell’Ucraina: nell’Assemblea Generale dell’ONU gli Stati Uniti, unica democrazia insieme a quella israeliana, hanno votato insieme alla Russia, Bielorussia, Corea del Nord, Nicaragua ed un’altra manciata di regimi dittatoriali o democrature (come quella ungherese) contro la risoluzione europea che chiedeva la fine della guerra in Ucraina, ma riconoscendo che c’è un aggressore (la Russia) ed un aggredito (l’Ucraina). Non si è trattato, purtroppo, di una svista, ma di una vera e propria strategia da parte americana, per cercare a tutti i costi la pace con il regime di Putin e disimpegnarsi dal territorio europeo. Ma ancora una volta, come già nel 2003, la Francia si è caricata sulle spalle un intero continente ed ha rappresentato l’orgoglio europeo al tavolo dell’ONU. Insieme anche, e non è poco, alla difesa dei valori occidentali e della stessa democrazia e libertà di cui tanto andiamo orgogliosi. E giustamente: perché, oggi più che mai, di fronte alla sfida di dittature assai sviluppate da un punto di vista tecnologico ed economico, con in testa la Cina, dovremmo ribadire che il primo, e più importante parametro, su cui si misura l’efficienza di un sistema economico, è la sua capacità di combinare libertà, eguaglianza sostanziale tra tutti i cittadini, e benessere diffuso. Il governo italiano della Meloni, che a parole difende questi valori e se ne proclama portabandiera, in questa fase si è eclissato, è evidentemente isolato in sede europea e si divide tra trumpiani ed europeisti: essendo del tutto irrilevante, c’è il timore che l’Italia finisca per accodarsi all’ultimo momento alla fazione vincente in Occidente. Se dovesse passare la linea trumpiana, l’umanità tornerebbe indietro di secoli, a quegli imperi coloniali globali che ci hanno portato dritti alle sanguinose guerre dell’Ottocento e poi al massacro della Prima Guerra Mondiale. Mentre, se sapremo difendere i nostri valori e resteremo uniti, ricacceremo indietro le nazioni imperiali non democratiche e riprenderemo ad essere un faro di democrazia e progresso, un potente polo di attrazione per tutti i migliori talenti e le migliori intelligenze che ci sono nel mondo. Per farlo, però, più che delle terre rare dobbiamo metterci alla ricerca delle menti e delle anime rare.