Intervista a Ferdinando Nelli Feroci: «Il governo in imbarazzo di fronte all’agenda Trump. L’Europa in difficoltà, faccia di più su sicurezza e difesa»

di Giada Fazzalari

L’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci è con- sigliere scientifico dello IAI, Istituto Affari In- ternazionali, uno dei più prestigiosi centri di ricerca in Italia e in Europa nel campo delle relazioni internazionali, di cui è stato presiden- te per oltre un decennio, fino al 2024. Docen- te alla School of Government della LUISS, già rappresentante italiano presso l’Ue a Bruxelles, ha una lunga carriera alle spalle – dalle Nazioni Unite ad Algeri, Parigi e Pechino. È una delle voci della diplomazia più autorevoli, che con i suoi interventi continua a fornire un contributo di qualità al dibattito pubblico sui temi della politica estera e di sicurezza.

Il vertice di Parigi sull’Ucraina dimostra che l’Europa non parla a una voce sola, mentre Tru- mp avvia il dialogo con Putin escludendola dai negoziati. Cosa significa?

«E’ un momento molto complicato per l’Euro- pa e per l’Unione Europea. Alcuni dei punti di riferimento all’interno dei quali ci eravamo abi- tuati ad operare nel corso dei decenni, a partire dalla fine della prima guerra mondiale, stanno venendo meno con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca. Stiamo verificando, giorno per giorno, che non possiamo più contare, come dato ac- quisito sulla solidarietà degli USA e sulle garan- zie di sicurezza degli USA e che dobbiamo co- minciare a organizzarci, facendo di più e meglio, per la nostra sicurezza e per la nostra difesa».

Sembra però che l’Europa non riesca a fare questo “salto”…

«Sono processi lunghi che richiedono decisioni politiche non semplici. La difficoltà di un’organizzazione come l’Unione Europea, che ha pro- cedure decisionali molto complesse, è quella di non riuscire a dare rapidamente risposte efficaci in tempi rapidi, in un contesto internazionale in continua evoluzione».

È il momento di dotarsi di un esercito e di una difesa comune? Se ne discute da oltre mezzo secolo.

«Il progetto di integrazione europea, all’origine, era stato concepito come processo di integra- zione economica, che avrebbe dovuto portare nel lungo periodo ad un’integrazione politica. La componente di difesa, dopo il fallimento della Comunità Europea di Difesa del ’54, era estranea a questo progetto di integrazione. Si è ricominciato a parlarne verso la fine degli anni ‘90 in una forma molto ridotta, con lo svilup- po cioè di capacità militari per gestire crisi fuori dai nostri confini, ma in concreto abbiamo fatto pochi progressi. Oggi ci confrontiamo con un problema molto più importante, e cioè quello di garantire la nostra sicurezza. Quindi non si tratta soltanto di intervenire nelle crisi fuori dai confini d’Europa, ma di costruire una capacità di difesa autonoma del Continente rispetto a minacce che incombono direttamente su di noi, in particolare soprattutto quella che viene dalla Russia».

Il governo italiano, con la presidente Meloni, che ruolo ricopre? Quello di difesa dell’Europa o fa piuttosto da mediatore di Trump con l’Ue?

«Ho l’impressione che il governo italiano, e in particolare la Presidente del Consiglio, sia in una situazione di grande imbarazzo perché da un lato c’è la volontà di rimanere collegati all’A- merica di Trump, a cui Meloni è molto legata per affinità politiche e ideologiche – lo abbiamo visto per esempio con i tentativi di giustificare i contenuti del durissimo discorso di J.D. Vance a Monaco di Baviera contro l’Europa. Dall’altra però c’è la consapevolezza che un’Italia comple- tamente isolata, schiacciata sulle posizioni tru- mpiane, non avrebbe molto spazio e margini di manovra e che quindi c’è una convenienza ad avere sponde in Europa. Tutto questo si tradu- ce nella difficoltà di definire una linea organi- ca, come si vede in questi giorni di sostanziale silenzio e assenza del nostro governo e in par- ticolare della Presidente del Consiglio, rispetto alle novità dirompenti che l’agenda Trump sta provocando sulla scena internazionale. Dall’av- vio del dialogo diretto con Putin alle proposte per la soluzione della crisi di Gaza, non mi è mai parso di cogliere una presa di posizione chiara da parte del governo italiano, che leggo come la testimonianza di un certo imbarazzo a collocarsi rispetto alle iniziative più estreme nell’ammini- strazione Trump».

Cosa pensa della proposta del presidente degli Stati Uniti di “spostare” palestinesi fuori dalla striscia di Gaza?

«Mi sembra del tutto impraticabile, al di là delle valutazioni di ordine etico o politico sulla fatti- bilità della deportazione di circa due milioni di palestinesi dalla loro terra. Ma c’è un dato che colpisce: questa amministrazione americana – e non è una sorpresa – è completamente allinea- ta sulle posizioni del governo israeliano. Lo ha detto Trump in modo molto esplicito: “sosterrò tutto quello che Netanyahu deciderà di fare”. La vera novità, quindi, è quella di un’ammini- strazione americana completamente allineata, direi schiacciata, sulle posizioni del governo Netanyahu, dove le componenti più radicali di estrema destra si sono sentite enormemente raf- forzate dalle prese di posizione americane. Tut- to questo rende molto difficile la ricerca di una soluzione di stabilizzazione della regione, che non può non tener conto anche di una ipotesi di soluzione del problema palestinese».

 

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