Quando Colorni riuscì a far pubblicare il Manifesto di Ventotene

di Nautilus

Dopo Matteotti e Turati, che per primi avevano parlato di Stati Uniti d’Europa, un altro socialista contribuisce al secondo, formidabile salto concettuale che trasforma l’ideale federalista in un obiettivo politico: è Eugenio Colorni. Milanese, appassionato di filosofia, spirto cosmopolita, si era staccato da Giustizia e libertà, avvicinandosi al Centro interno del Psi nato a Milano nel 1934. Pur sapendo di essere sorvegliato, continuò la propria attività clandestina, fu arrestato ma poiché mancavano le prove contro di lui, fu mandato al confino a Ventotene. In quella fase scrisse i Dialoghi di Commodo, che saranno pubblicati postumi e che riproducono le discussioni con gli amici Ernesto Rossi, Manlio Rossi Doria, Altiero Spinelli. E proprio Colorni, che condivideva con gli altri le idee federaliste, fu proprio lui a redigere materialmente quel che sarebbe passato alla storia come il Manifesto di Ventotene. Nel 1944, poco prima di essere ucciso, Colorni curò la redazione in tre capitoli: il primo (La crisi della civiltà moderna) e il secondo (Compiti del dopoguerra. L’unità europea) elaborati da Spinelli, mentre il terzo (Compiti del dopoguerra. La riforma della società), era prevalentemente opera di Rossi e sempre di Spinelli. Nella prefazione Colorni ripercorre le premesse della discussione, maturata “nella tristezza dell’inerzia forzata e nell’ansia della prossima liberazione”. Colorni sintetizza gli obiettivi: “Esercito unico federale, unità monetaria, abolizione delle barriere doganali e delle limitazioni all’emigrazione tra gli Stati appartenenti alla Federazione, rappresentanza diretta dei cittadini ai consessi federali, politica estera unica”. Rileggere fa una certa impressione: c’era già tutto. Eugenio Colorni sarà intercettato dai fascisti e ferito a morte pochi giorni prima la liberazione di Roma da parte degli Alleati. Un destino crudele che lo accomunerà ad un altro eroe socialista, Bruno Buozzi.

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